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Compassione Chiara Tedeschi

Compassione, empatia e serenità

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Esercitarci a sviluppare la nostra propensione innata alla compassione, può aiutarci a sentirci più felici e soddisfatti della nostra vita quotidiana. La compassione, se reale, ci aiuta a smettere di guardare solo a noi stessi e ad offrire un aiuto onesto e una mano protesa verso il prossimo. Il semplice fatto di offrire il nostro sincero aiuto agli altri, privo di giudizio, predisporrà il nostro cervello in uno stato di quiete, donandoci una grande pace interiore. Ecco cosa succede nel nostro cervello quando proviamo compassione, e come mai dovremmo distinguerla da altri atteggiamenti mentali, quali l’empatia e la pietà.

 

Cosa significa “avere compassione”

 

La parola “compassione” deriva dal latino “compati” che significa “soffrire con“. In molti dizionari, il termine compassione è stato erroneamente collegato a pietà, ma in realtà la compassione non ha nulla a che vedere con questo concetto. La pietà implica essere dispiaciuti o guardare una persona con inferiorità. Non si tratta di una definizione molto utile, per cui anche la parola stessa può trarre in inganno.

Il punto chiave della compassione non è soltanto la sofferenza, e nemmeno il soffrire con qualcuno, ma contiene anche e soprattutto la motivazione di riuscire ad alleviarla acquisendo delle abilità per riuscire a farlo. Cercando una definizione, non se ne trova una condivisa. La più semplice, che viene dal pensiero buddista tradizionale, è:

” Essere sensibili alla sofferenza degli altri così come alla propria, prendendosi l’impegno autentico di cercare di alleviarla.” Dalai Lama

 

Il modo in cui viene inteso il significato dell’essere compassionevoli è oggi molto limitante. Riusciamo a vedere la compassione espressa sul volto di chi si preoccupa per una persona malata, ma se lo stesso sentimento viene espresso in altri modi non riusciamo ad interpretarlo correttamente. In realtà, tutte le volte che siamo motivati ad alleviare la sofferenza o proteggere noi stessi o qualcuno dal pericolo, esercitiamo la compassione. Pertanto, essa si manifesta anche quando una madre strattona il figlio che sta per essere investito, oppure quando ci prendiamo una meritata pausa dal lavoro.

 

La compassione è la nostra natura innata

 

Mentre la gentilezza è mossa dal desiderio di essere felici, la compassione è volta a liberarci dalla sofferenza. Pensiamo anche solo a tutte le cose che facciamo per evitare la sofferenza: cambiare posizione se siamo scomodi, oppure bere quando abbiamo sete. Magari vogliamo liberarci dallo stress, gestire meglio le emozioni e questo è il modo con cui mostriamo compassione per noi stessi. Questo desiderio è così naturale che si manifesta in qualsiasi cosa facciamo. Possiamo notarlo nel corso della giornata, tutte le volte che cerchiamo di evitare la scomodità.

I semi della compassione sono sempre con noi, poiché stiamo sempre cercando di essere felici e di evitare la sofferenza. Questa è la nostra natura. Quando ci critichiamo, oppure sentiamo avversione per qualcosa che ci causa dolore e cerchiamo di lenire la sofferenza, il seme della compassione è presente. In questi momenti stiamo solo cercando di eliminare la cosa che ci porta a soffrire. Si tratta di un sentimento naturale ed innato: nella pratica ci alleniamo soltanto a riconoscerlo e nutrirlo.

 

Compassione Chiara Tedeschi
 

Differenza tra empatia e compassione

 

Gli scienziati distinguono chiaramente tra empatia e compassione. L’empatia è l’abilità di sentire quello che un’altra persona sta sentendo e se c’è sofferenza, soffriamo anche noi. La compassione è completamente diversa, poiché nella compassione riconosciamo che l’altra persona sta soffrendo, ma invece di essere catturati nella nostra spirale di pensieri, si attiva una risposta di cura, di sollecitudine. In questo modo il focus non è più su di noi, ma sull’altra persona: siamo pronti ad aiutarla. Con la compassione noi sentiamo la sofferenza, ma è diluita dalla sollecitudine e dal vedere in una prospettiva più ampia.

Questa distinzione si manifesta anche nel cervello. Quando gli scienziati hanno cominciato a studiare l’empatia, hanno inizialmente creduto che fosse simile alla compassione, ma successivamente hanno scoperto, non solo che è un sentimento diverso, ma che attiva circuiti neuronali completamente differenti, che non si sovrappongono. Quando vediamo qualcuno che soffre sentiamo dolore anche noi, questo significa che il circuito del dolore nel cervello viene attivato; ma quando vediamo la sofferenza e proviamo compassione, il focus si sposta da noi a loro e vogliamo alleviarla. Di conseguenza, quando proviamo compassione si attivano emozioni positive invece che negative, ci si sente positivamente coinvolti invece che sopraffatti o in preda alla paura.

 

Compassione Chiara Tedeschi
 

Cambiare prospettiva da noi all’altra persona

 

Tania Singer è una psicologa e neuro scienziata sociale tedesca e studia cosa succede nel cervello delle persone quando provano empatia rispetto a quando provano compassione. Essa afferma che prima ancora di vedere i risultati finali della ricerca, poteva riconoscere la differenza tra le due emozioni, dall’espressione facciale delle persone. Ai partecipanti allo studio veniva richiesto di provare empatia, immaginando qualcuno che stava soffrendo. Nella reazione delle persone si poteva chiaramente vedere il dolore che provavano. Si poteva notare addirittura un cambio di postura, le persone si incurvavano, come se in qualche modo si volessero proteggere dal dolore. Nel chiedere alle persone di provare compassione, la reazione è stata completamente diversa. La postura diventava più dritta, l’espressione facciale più sicura e più luminosa. Questo è un cambio di prospettiva importante; l’empatia riguarda noi e come ci sentiamo, la compassione riguarda l’altro e il nostro desiderio di alleviare il suo dolore.

 

Compassione Chiara Tedeschi


Focalizzarsi sui bisogni dell’altro


L’empatia è un’esperienza di focalizzazione su di noi: ci stressiamo e cerchiamo di gestire la nostra emozione. La compassione è l’opposto, quando vediamo la persona soffrire, riconosciamo il dolore e magari ne sentiamo anche noi un po’, ma la nostra focalizzazione è sull’altra persona. Non siamo catturati dalle nostre emozioni, la nostra attenzione intrisa di sollecitudine e cura, è diretta verso l’altro. Il training della compassione ci aiuta quindi a cambiare prospettiva da noi all’altra persona.

È interessante notare che questo cambio di prospettiva induce un cambiamento anche nel nostro cervello. I circuiti dell’empatia e della compassione sono due circuiti distinti e non si sovrappongono. Quando proviamo empatia per la sofferenza degli altri, si attivano i circuiti del dolore e di altre emozioni negative, mentre nel caso della compassione, si attivano i circuiti legati alle emozioni positive, alla connessione e all’abilità di vedere la prospettiva degli altri.

Per tutte queste ragioni, la compassione è un atteggiamento mentale molto diverso dalla pietà così come anche dall’empatia. Non ci induce a condividere il dolore altrui, facendolo proprio, ma al contrario ci spinge a innescare un cambiamento positivo, nel nostro pensiero, in relazione agli altri e quindi, in ultima analisi, verso il mondo.

Contattami e sarò felice di guidarti nel tuo percorso verso la consapevolezza! 


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